martedì 10 febbraio 2009

Foibe, l’intervento del Presidente della Camera Gianfranco Fini nel Giorno del Ricordo


“Oggi è il Giorno del Ricordo; saluto con affetto e calore i rappresentanti delle associazioni di esuli istriani, fiumani, giuliani e dalmati che hanno voluto essere presenti a questo evento. Li saluto unitamente all’attore Luca Violini e allo scrittore Paolo Logli, autore del testo teatrale che verrà tra breve rappresentato. Dopo l’approvazione nel 2004 della legge che ha istituito questa ricorrenza ‘al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani’, questa è la prima volta che si tiene alla Camera dei deputati una manifestazione dedicata alla rievocazione delle dolorose vicende delle foibe e dell’esodo. Il mio primo auspicio, a distanza di cinque anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, è che il significato di questa giornata si consolidi nella percezione comune degli italiani, specie dei giovani”. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo alla Camera nella giorno del ricordo delle vittime delle Foibe. “Non a caso, la legge intende favorire la promozione di iniziative, da parte di istituzioni ed enti, per conservare la memoria di quei tragici eventi approfondendone il significato all’interno dell’identità nazionale”.
“Quel voto parlamentare a larghissima maggioranza fu l’approdo di una lunga e sofferta conquista di consapevolezza civile. La consapevolezza che un paese democratico non deve avere mai paura di illuminare tutti gli angoli della propria storia. Per troppo tempo l’orribile capitolo delle foibe è stato taciuto agli italiani. A farne le spese è stata la completezza del racconto storico della guerra e dell’immediato dopoguerra. A farne le spese direttamente sulla loro pelle sono stati gli esuli. È una dolorosa circostanza che non possiamo dimenticare, se vogliamo celebrare questa giornata nella pienezza e completezza dei suoi significati. Non possiamo dimenticare che questi fratelli ha vissuto un duplice dramma: quello di essere stata costretta ad abbandonare la propria casa e quello, avvenuto subito dopo, di essere stata accolta con indifferenza e, in molti casi, con ostilità da quella stessa Italia dalla quale aveva sperato di ricevere un abbraccio solidale. Molti esuli vissero a lungo - anche fino a dieci anni - negli oltre cento campi di raccolta disseminati nella Penisola. E vissero in condizioni di vita difficilissime, in totale emergenza e assoluta provvisorietà”.
Quegli oltre trecentomila italiani vennero trattati in molti casi come testimoni scomodi. Per alcuni erano i testimoni della tirannia totalitaria del regime nazionalcomunista di Tito. Per altri ricordavano l’immane tragedia della sconfitta militare voluta dal fascismo. In diverse occasioni si assistette al manifestarsi di sentimenti di gretto egoismo, che le pur difficili condizioni del dopoguerra non potevano in alcun modo giustificare. Così ad esempio troviamo scritto nei ricordi di un esule: ‘Non si usciva nemmeno dal campo profughi di Marina di Carrara perché ci disprezzavano, dicevano che eravamo andati lì a mangiare il loro pane’. Non è mia intenzione entrare in questa circostanza nelle complesse questioni storiche legate al dopoguerra, soprattutto sotto il profilo delle difficili condizioni in cui l’Italia, che aveva da poco riconquistato la libertà, si trovò a muovere i suoi primi passi nel consesso internazionale e nel quadro dell’allora incipiente Guerra Fredda. Voglio però ribadire il concetto, largamente prevalente nella coscienza civile del nostro tempo, che non esistono esigenze politiche tali da giustificare l’occultamento della verità storica e la prolungata emarginazione di centinaia di migliaia di persone colpevoli soltanto di avere una ben precisa identità”.
“Il Giorno del Ricordo - ha aggiunto Fini - presenta quindi il significato di una memoria ritrovata e condivisa. Ritrovare un capitolo del passato comune. Condividere lo sforzo di analizzarlo e interpretarlo. ‘Memoria condivisa’, ha scritto lo storico Gianni Oliva, ‘significa esplorare le contraddizioni, le responsabilità, i perché di quanto è accaduto, significa rintracciare il passato senza l’alibi dei silenzi e l’ipocrisia delle rimozioni’. Rievocare l’orribile capitolo delle foibe è un dovere che si impone non solo alla nostra coscienza di italiani, ma anche al nostro sentimento di europei, come ha detto il capo dello Stato molto bene questa mattina. Perché gli eccidi del 1943 e del dopoguerra, compiuti contro migliaia di inermi e di innocenti al confine orientale dell’Italia, furono un crimine contro l’umanità. Ritengo che la ricostruzione di quelle pagine di morte e di orrore possa essere un servizio reso alla più ampia e matura consapevolezza di promuovere e difendere quei valori di rispetto e di fratellanza tra i popoli che sono alla base dell’Europa odierna. Il riconoscimento della verità storica e l’analisi rigorosa di quella terribile esperienza ci permettono di individuare i meccanismi perversi che conducono alla cancellazione dei diritti dell’uomo e alla pulizia etnica”.
“Nella tragedia delle foibe troviamo sia i meccanismi dell’ideologismo comunista sia quelli del nazionalismo aggressivo panslavista. Spetta agli storici stabilire quale fu, se ci fu, l’elemento prevalente. Sia nei casi in cui si trattò di odio di classe, sia in quelli in cui fu odio etnico, sia quando fu entrambe le cose, in tutti i casi, si rivelarono sentimenti criminali. Sentimenti coperti e legittimati da idee atroci e da aberrazioni culturali. Il secolo delle idee assassine, per dirla con Robert Conquest, è fortunatamente alle nostre spalle. Ma affinché sia solo un brutto passato è necessario adempiere al dovere del ricordo. Il ricordo chiaro, il ricordo sereno, il ricordo completo, il ricordo privo di zone d’ombra, reticenze e manipolazioni. Anche per questo appare in tutta la sua ingiustizia la lunga rimozione di quella tragedia. Anche per questo dobbiamo impegnarci a salvare la memoria delle sofferenze di tanti nostri connazionali, nello spirito della riconciliazione che può avvenire solo sulla base della verità. Vorrei dedicare un pensiero conclusivo al sentimento dell’esilio, che tanti nostri connazionali portano ancora nel cuore. Nella poesia di una donna, Anna Vukusa, troviamo queste parole forti e commoventi: ‘Il mio cuore di esule è una bianca conchiglia per ascoltare il mare che più non mi appartiene’”.
“Non c’è consolazione possibile per riempire il vuoto che si spalanca nell’anima quando si è costretti ad abbandonare la propria casa e la propria terra. Come ha scritto Enzo Bettiza, anche quando l’esule riesce a rifarsi una vita, una famiglia, una prole, egli non sfugge, non può mai sfuggire completamente al ‘marchio del trauma iniziale’. Non possiamo curare questa invincibile malinconia. Possiamo però sforzarci di farla pienamente nostra come comunità nazionale. Anche questa è memoria condivisa. È il condividere un ricordo struggente. E il saperlo trasformare in memoria comune. In ossequio al sentimento dell’identità italiana. Ma soprattutto in nome di un valore universale di fratellanza”.

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